Bicchiere: Coppetta da Cocktail
Tecnica: Shake & Strain
Decorazione: 3 chicchi di caffè
Ingredienti:
- 60 ml di Vodka
- 30 ml liquore al caffè
- 15 ml sciroppo di zucchero 1:1
- 1 caffè espresso (approx 30 ml)
Preparazione:
Assicuratevi che il caffè sia stato estratto da poco e sia ancora caldo. Si versano tutti gli ingredienti nello shaker colmo di ghiaccio , e si shakera per circa 12 secondi.
E’ preferibile usare cubetti grandi e pieni, perchè serve una shakerata energica per creare una leggera schiuma sulla superficie del cocktail, e di certo non vogliamo diluire troppo il drink.
Con l’aiuto di uno Hawthorne strainer ed un passino a maglie strette filtriamo il drink in una coppetta precedentemete raffreddata.
Si decora con tre chicchi di caffè adagiati sulla superficie del drink al centro del bicchiere come se si volesse disegnare un fiore.
Note sugli ingredienti:
La freschezza del caffè appena estratto ed ancora caldo è fondamentale. In primo luogo un espresso caldo aiuta a creare la tipica “crema” che da al drink il caratteristico aspetto morbido e schiumoso.
Come seconda cosa, il caffè è ricco di composti e principi attivi che evolvono nel tempo dopo l’estrazione, se li lasciamo ossidare oltremodo il sapore del caffè peggiora drasticamente.
La scelta del liquore al caffè influisce molto sulla dolcezza e sul bilanciamento del cocktail, infatti diversi liquori hanno diverse percentuali di zucchero al loro interno e quindi bisognerà fare attenzione a quanto zucchero aggiungere alla ricetta per ottenere un buon risultato finale nel drink.
Un cocktail al caffè pensato negli anni ’80 di sicuro ha come riferimento la dolcezza della Kahlua, che in quegli anni insieme al Tia Maria era il liquore al caffè più disponibile sul mercato, oggi troviamo una vasta varietà di liquori anche più artigianali tra cui scegliere che possono essere più asciutti, dal forte sapore di caffè o anche dal tenore alcolico più alto, l’importante è avere sempre in mente l’equilibrio del nostro drink e aggiungere zucchero in base ai casi.
Bradsell era solito chiamare la decorazione del drink ” i tre chicchi fortunati” che rappresentano salute, ricchezza e felicità.
La Storia:
Cosa fareste se una emergente super top model si avvicinasse al bancone del bar e mettendosi nelle vostre mani vi chiedesse un drink mai fatto prima? La leggenda vuole che sia quello che successe a Dick Bradsell, il precursore della rinascita del cocktail, che negli anni ‘80 ha fatto la storia della miscelazione londinese, noto per creazioni che oggi sono Classici Moderni come l’Espresso Martini, il Bramble , il Russian Spring Punch ed il Teacle.
Era il 1983 quando una bellissima ragazza, forse stanca per via degli shooting oppure delle sfilate, si avvicinó al bancone del bar della Soho Brasserie di Londra e gli ordinó il drink che è diventato famoso per la sua caratteristica corroborante ed il suo tenore alcolico. La frase rimasta celebre è: ” a drink that wakes me up, and then f**ks me up“.
La storia di questo drink vuole che quella ragazza di lì a poco sia diventata una supermodel, ma un bravo barman è prima di tutto un galantuomo, e Bradsell non fece mai trapelare il nome della ragazza.
Di pettegolezzi ne sono stati fatti tanti, e il nome più vociferato è quello di Kate Moss, peccato che all’epoca lei avesse solo 9 anni, altri invece hanno sempre indicato la Venere Nera come ispiratrice del drink, ma anche la Campbell era a stento una ragazzina agli inizi degli anni 80!!!!
Mi viene da chiedere se un barman come Bradsell così attento all’equilibrio di ciascun drink abbia improvvisato al momento oppure già aveva il drink nelle sue idee da prima. Di sicuro lo spunto per questa ricetta venne dal fatto che la macchina del caffè era proprio vicino alla sua postazione, e c’erano fondi di caffè ovunque, “avevo spesso il caffè in mente”, come raccontò Bradsell in una intervista. La scelta della vodka fu dettata invece dal modo di bere di quegli anni.
Inizialmente il drink si chiamava semplicemente Vodka Espresso, e veniva servito on the rocks, come ha spiegato Bradsell nel 2013 ad una rivista inglese, la ricetta originale prevedeva Vodka, zucchero, due liquori al caffè in parti uguali Kahlua e Tia Maria , e un caffè espresso.
Al volgere degli anni 90 la vodka era il distillato più utilizzato al bar e l’epoca dei “Neo Martini” era giunta: tutto quello che era a base di vodka e veniva servito in una coppetta ad Y veniva chiamato “Martini”. Dick lasciò solo la Kahlua come liquore al caffè e cambiò il nome in Espresso Martini.
Alcune fonti riportano che il drink fu ideato al Fred’s Club, lo stesso Bradsell alle volte faceva riferimento al Fred’s nelle interviste dei primi anni 2000, molto probabilmente al Fred’s furono solo perfezionati la ricetta ed il nome.
Si sa che Bradsell non amava mettere radici, e quando nel 1998 fu ingaggiato come barmanager presso il Pharmacy di Notthing Hill, per la seconda volta modificò il suo cocktail aggiungendo più caffè espresso, servendolo on the rocks e chiamandolo Pharmaceutical Stimulant.
Il motivo per cui l’Espresso Martini ha avuto grande successo, ed ha surclassato di molto altri drink a base di caffè, sta nel genio di unire ingredienti semplici in un drink dal sapore raffinato e vellutato.
In modo particolare una cosa che non deve essere sottovalutata è la qualità degli ingredienti che si usano. La disponibilità o meno di un espresso all’italiana può cambiare la riuscita del drink.
Il caffè espresso non è un ingrediente difficile da reperire ma molto dipende dalla latitudine a cui ci troviamo, in paesi come l’Italia è impensabile non trovare una macchina per caffè espresso, e lo stesso si può dire per l’Australia che seguendo una vecchia eredità di immigranti italiani ha dato vita ad una ritrovata passione per l’espresso e di conseguenza anche l’Espresso Martini ha trovato terreno fertile tra i bartenders Australiani.
Diversamente nei paesi dove i bar non hanno macchine a pressione per il caffè, sembrerebbe impossibile fare un Espresso Martini come si deve.
Del resto la ricetta di un buon drink non dovrebbe essere mai toccata, ma in realtà quella di un drink veramente buono si presta alle più svariate interpretazioni e riff.
In particolare è molto interessante la versione di Jeffrey Morgenthaler, manager del Clyde Common e del Pepe Le Moko di Portland.
Alla fine del 2013 in mancanza di una macchina per caffè espresso, ha cercato un modo per ottenere un concentrato di cold brew (caffè infuso a freddo) che potesse essere un buon sostituto (mezzo kg di caffè finemente macinato in due litri di acqua).
In realtà, come ci ha raccontato Jeffrey, da grande fan dell’espresso martini, avrebbe voluto mettere da sempre questo drink nel menu del locale dove lavora come manager. Il problema era che il Clyde si trova all’interno di un edificio dove ci sono anche altre attività, tra cui un coffee shop e per un patto tra buoni vicini di lavoro, loro non potevano disporre di una macchina per caffè espresso. Dunque facendo di necessità virtù Jeffrey trovò la soluzione nel concentrato di cold brew.
Utilizzando un tipo di caffè diverso anche la ricetta necessitava di un ritocco, infatti la versione di Morgenthaler prevede:
- 30 ml di Concentrato di caffè infuso a freddo
- 22 ml di Vodka 100 proof
- 22 ml di Kahlua
- gli olii di uno zest di limone
In questo caso la scelta specifica di un liquore molto dolce come la Kahlua è necessaria per bilanciare il drink in quanto non è prevista aggiunta di zucchero.
Non è una novità trovare olii essenziali di limone accostati al caffè, è da sempre un tipico rimedio della nonna contro il mal di testa ed in questo caso è un abbinamento che bilancia perfettamente la freschezza e l’aroma e aggiunge carattere al drink.