Bicchiere: Highball
Metodo: Throwing
Decorazione: Gambo di sedano, una fetta di limone opzionale e una bordatura di sale
Ingredienti:
- 60 ml di Vodka
- 150 ml di Succo di pomodoro
- 15 ml di Succo di limone
- 8 gocce di Salsa Worchestershire
- 6 gocce di Tabasco
- 1 tsp di Sale
Preparazione:
Si bagna metà bordo del bicchiere con succo di limone, si cosparge con un mix di sale e si tiene da parte.
Si versano tutti gli ingredienti in un tin facendo attenzione a far sciogliere bene il sale.
Si aggiunge ghiaccio e si miscela con la tecnica throwing lasciando cadere il cocktail da un tin all’altro per quattro cinque volte.
Si versa il cocktail in un bicchiere highball con ghiaccio e si serve con la decorazione di gambo di sedano e fetta di limone.
Nota sugli ingredienti:
Questo drink è un po’ il banco di prova di tutti i barmen, quando un nuovo cliente abbastanza pretenzioso si siede al bancone e vi chiede questo drink ha solo due scelte: restare del tutto indifferente davanti ad un cocktail insipido oppure amarvi per sempre.
Il Bloody Mary è buono solo se ha una certa viscosità, una shakerata potrebbe non dare il risultato desiderato e togliere corpo al cocktail, per questo è preferibile rollare il drink con il throwing.
La texture non dipende solo dalla tecnica usata, molto dipende dal succo di pomodoro, quello fresco estratto al momento potrebbe risultare poco viscoso e tenderebbe subito a precipitare e separarsi. Viceversa un succo di pomodoro imbottigliato, a seconda della marca, può avere più consistenza. La scelta del succo non va sottovalutata, anche una buona preparazione con un succo scadente potrebbe rovinare l’intero drink.
Consiglio di saggiare il cocktail durante la costruzione per controllare che il sale abbia dato sapore al succo e per essere sicuri di aver bilanciato bene l’acidità del pomodoro e del limone, in questa ricetta 15 ml di succo di limone servono maggiormente ad aggiungere freschezza al drink.
I puristi preparano il Bloody Mary aggiungendo solo Worchestershire, tabasco, succo di limone, e sale, ma il carattere sapido e saporito del drink lascia spazio a piccoli interventi sul sapore come già veniva fatto per l’oyster cocktail a fine 19° secolo. Quindi si può osare qualche riff sulla classica ricetta utilizzando magari wasabi per accentuare il sapore pungente o salsa di soya per aggiungere sapidità, un mezcal potrebbe lavorare bene con il suo sapore affumicato, e perchè no i più arditi potrebbero sperimentare l’uso di un consommè di carne.
Spesso il drink viene ordinato per mera curiosità legata al nome e alla fama del drink regalatagli da tante comparse nelle pellicole di Hollywood, ma di sicuro un bevitore di Bloody Mary sa cosa vuole, quindi il mio consiglio è di non servire mai questo drink avendo paura di esagerare, è un drink che non deve risultare piatto al palato, deve avere carattere e un sapore intenso, forte e pungente.
La scelta del sale per la bordatura del bicchiere, può variare per dare un impatto sapido e più o meno aromatico, si può spaziare da un semplice mix di sale e pepe, per esempio, o al sale di sedano o un mix di sale e paprika.
Nonostante il Bloody Mary si presti bene a decorazioni con i più svariati pomodorini, cetriolini, o olive farcite, il gambo di sedano dà sobrietà alla presentazione ed è un iconico must a cui non si dovrebbe mai rinunciare a favore di fantasismi culinari troppo eccessivi.
La Storia:
Circa dodici anni fa mi trovavo a Parigi, e mentre tutti erano curiosi di andare in quel club con la gigantesca statua dorata, io chiesi al taxi di portarmi al n5 di Rue Daunou. Dovevo vedere il posto di cui avevo letto sui libri, l’intramontabile Harry’s New York Bar.
Varcai la soglia e il barista che stava servendo due clienti al bancone vicino alla porta mi fece segno di andare giù al piano di sotto.
Quel posto racconta una storia a chiunque entri, l’atmosfera coinvolge i clienti e li fa tornare con la mente a quei club di inizio Novecento, dove non badavi al fumo delle sigarette e ti lasciavi prendere dalla musica del piano.
Agli inizi del 2000 era inusuale trovare un barman con i baffi grigi e un camice bianco servire al bancone, ma la maestria di quell’uomo aveva un nonsochè di anacronistico che affascinava. Seduto al tavolino su quel chester ero curioso di ordinare un Bloody Mary.
Una volta uscito dal locale ero ancora così preso dall’atmosfera del New York Bar, che quasi avevo dimenticato di trovarmi nella Ville Lumiere.
Strano a dirsi, ma la confusione che provai tra Parigi e Stati Uniti è la stessa di chi va a fondo nella ricerca delle origini del Bloody Mary. La storia di Fernand Petiot e del bar prima che Harry MacElhone lo comprasse è molto romantica, ma ci sono diversi rimandi che vanno oltreoceano ed incontrano la storia prima dell’oyster cocktail e poi della star George Jessel.
La cucina francese lavorava il succo di pomodoro da metà del ‘700, e la famiglia Smirnoff acquistò una distilleria in Francia ed iniziò a produrre vodka agli inzi del 21° secolo.
Pertanto si ritiene plausibile che Fernand Petiot sapesse come utilizzare il pomodoro e che abbia creato il Bloody Mary nel 1921, quando il New York Bar di Parigi era ancora di Ted Sloan (MacElhone lo avrebbe rilevato solo nel 1923). A quei tempi il locale era frequentato da icone americane come Ernest Hemingway, Sinclair Lewis, Rita Hayworth o Humphrey Bogart.
Il nome del drink rimanda subito alla sangunaria regina Tudor, ma in realtà in una intervista del 1972 concessa al “Cleveland Press” Petiot raccontava che Bloody Mary era il nomignolo che Roy Barton, un uomo di spettacolo americano diede ad una cameriera di nome Mary che lavorava al Bucket of Blood, una bettola di Chicago dove l’intrattenitore si esibì anni prima.
Nel 1925 Petiot fece tappa negli Stati Uniti, ma poi tornò in Europa e si trasferì in Inghilterra dove lavorò al Savoy, come raccontava nella intervista del 1965 al “The New Yorker”.
E’ facile pensare che al bancone del Savoy incontrò Mary Duke Biddle, la proprietaria del st. Regis Hotel di Manhattan, un luogo che ebbe una notevole importanza nello sviluppo della ricetta.
Con l’abolizione del proibizionismo, nel 1934 Petiot iniziò a lavorare al st. Regis come head bartender, presiedeva il King’s Cole Bar e servì il suo drink al pomodoro fino al 1966 quando si ritirò a vita privata.
Un aneddoto del King’s Cole racconta, che una volta “Pete” servì il suo Bloody Mary al principe russo Serge Obolensky che aveva ordinato un drink molto piccante. Per accontentare la richiesta dell’aristocratico russo-americano, Petiot aggiunse gocce di tabasco alla preparazione e da quel momento la ricetta si arricchì di un nuovo ingrediente.
In effetti nei primi anni al st. Regis la ricetta ebbe qualche “modifica”, i pomodori in America avevano un sapore diverso da quelli francesi, erano troppo dolci e Petiot decise di aggiungere più condimento, la vodka non era facilmente reperibile e stentava ad avere successo tra la clientela americana, per questo motivo spesso il gin veniva preferito al distillato della ricetta originale.
Anche il nome fu cambiato, Bloody Mary suonava troppo grossolano per la raffinata clientela del st.Regis, la proprietà chiese a Petiot di chiamare il drink diversamente. “Pete” fece una scelta facile e prese il nome dalla salsa di pomodoro condito e concentrato di vongole che aveva gran successo in quel periodo, e che quasi sicuramente utilizzavano anche al King’s Cole. Red Snapper non fu più solo il nome sull’etichetta di quelle bottiglie di salsa, ma divenne il drink dell’hotel.
Bloody Mary invece fu un nome molto caro a George Jessel, una star di Hollywood degli anni ’40, che ne reclamò la paternità nella sua autobiografia “The World I lived In!” del 1975. Jessel raccontava che nel 1927 durante un suo soggiorno a Palm Beach, dovette fare i conti con un hang over alle otto del mattino, erano ancora al “La Maze’s” e infilandosi dietro al bancone, intrugliò uno strano distillato che puzzava di patate marce, succo di limone e succo di pomodoro , ricordando che sua cognata usava il succo di pomodoro contro l’emicrania.
Jessel continuava il racconto spiegando che il nome era legato a Mary Brown Warbourton, che quel mattino di ritorno da una serata fuori arrivò al “la Maze’s”. Era vestita di bianco, ma un movimento distratto le sporcò tutto il vestito e diede il nome al drink.
A dire il vero Jessel era noto per avere delle discutibili reminiscenze, scritte nelle sue memorie, e se a pensar male si fa peccato, è anche vero che la scelta della vodka sembrava troppo scontata vista la sua amicizia con John Martin, il produttore di vodka che prese parte nella creazione del Moscow Mule.
Walter Winchell, enche egli amico di Jessel, scriveva sul “Chicago Tribune”, e in un articolo del 3 aprile 1939 raccontò di un drink con vodka e succo di pomodoro.
Qualche mese dopo, anche Lucius Bebe, un giornalista e futuro autore del libro ” The Stork Club Bar Book”, scriveva sul “The New York Herald” che George Jessel aveva creato il Bloody Mary, un pick-me-up che stava suscitando interesse tra la stampa locale.
Proprio Lucius Bebe fu il primo ad inserire la ricetta del drink nel suo manuale del 1946 .
E’ da dire però che il Red Snapper del St. Regis Hotel già era presente in un manuale da bar 5 anni prima della pubblicazione di Bebe, il “Cocktail Guide and Ladies Companion” (1941) di Crosby Gaiges.
Dalla lettura di queste due note storiche esce una evidente differenza tra le ricette: quella del 41 è del tutto simile ad un Bloody Mary che berremmmo oggi. La ricetta del 46 di Bebe, invece, fatta con vodka succo di pomodoro, limone e Angostura, è il classico esempio di ciò che non vorrei mai trovare in un bicchiere quando ordino un Bloody Mary.
Di questo parere era anche Fernand Petiot che in una intervista del 1964 rilasciata al “The New Yorker” riconobbe il ruolo di Jessel nella diffusione del successo del drink, ma ci tenne a precisare :” io ho iniziato a fare il Bloody Mary di oggi. Jessel dice di averlo creato, ma non era altro che vodka e succo di pomodoro”.
Nel 1947 Trader Vic inserì il Bloody Mary nel suo manuale, la ricetta portava solo 45 ml di vodka da bilanciare con succo di pomodoro, ma si sa che lui e il suo miglior rivale erano famosi per tenersi i segreti per loro.
Gli anni ’50 videro molte pubblicazioni di ricette di Bloody Mary, qualcuna forse sullo stile troppo semplice della vodka con succo di pomodoro Angostura e limone, ma c’è una in particolare delle versioni riportate nel manuale di Ted Saucier “Bottoms Up!” del 1951 che vale la pena leggere. Si tratta del Bloody Mary La Milo, che oltre alla vodka, al pomodoro e alla Worchestershire riportava nella ricetta il concentrato di vongole.
Embury nella edizione del 1952 del “The fine art of mixing drinks”, è stato il primo ad includere il tabasco come un ingrediente canonico, e piuttosto che raccontare solo la ricetta, mette in evidenza come il drink possa variare a seconda del capriccio del barman e dell’autore di un articolo.
In tutte le ricette della prima metà del ‘900 non si fa menzione del gambo di sedano nel Bloody Mary, la ragione la spiegano Brown e Miller nel loro “Spirituous Journey”: questa decorazione fu aggiunta nel 1960 alla Pump Room dell’Ambassador East Hotel di Chicago.
La disputa tra Petiot e Jessel non ha mai avuto una soluzione chiara e a chiunque dei due voglia attribuirsi la paternità del Bloody Mary, si deve ricordare che già nel 1892 esisteva una ricetta di un drink caldo usato come corroborante (all’epoca si raccomandava per chi avesse avuto tendenze suicide) chiamato oyster cocktail fatto con succo di pomodoro, salsa Worchestershire, succo di limone, rafano, sale, altre salse piccanti e sette piccole ostriche.
Il 1 di gennaio , forse dopo un giorno di grandi festeggiamenti, proprio per la sua fama da pick me up, si festeggia il Bloody Mary day.