Bicchiere: coppetta da cocktail
Metodo: stir & strain
Decorazione: ciliegina
Ingredienti:
- 60 ml rye whiskey
- 30 ml vermouth rosso
- 2 dashes di angostura aromatic bitters
Preparazione:
Versare gli ingredienti nel mixing glass e mescolare per 25 secondi. Il tempo e il numero di giri da fare con il bar spoon dipendono principalmente dal tipo di ghiaccio. Ma anche la quantità è importante troppo o troppo poco annacquerebbero il cocktail, il ghiaccio deve essere abbastanza per arrivare proprio sulla superficie del liquido nel mixing glass.
Il drink deve mantenere l’intensità dello spirito base ma dobbiamo riuscire a dare “profondità” al sapore del drink, e quindi è fondamentale controllare bene la diluizione.
Con uno strainer versiamo il drink in una coppetta da cocktail ben fredda e decoriamo con una ciliegina.
Gli amanti del vermouth e dei cocktail con un tenore alcolico più moderato potrebbero trovare molto piacevole il Manhattan nella versione “reverse”, ovvero con 2 dash di maraschino o curacoa e invertendo le proporzioni tra whiskey e vermouth .
Nota sugli ingredienti:
Il Manhattan ha un sapore molto strutturato, ciascun ingrediente conferisce corpo al drink, la sua bellezza è tutta nel modo in cui vengono legati ed esaltati tra di loro gli ingredienti.
L’invecchiamento e l’alta gradazione del whiskey hanno bisogno di un abbinamento con un modificatore che ne supporti l’intensità senza ammorbidire troppo lo spirito. Allo stesso modo dobbiamo tener presente che ciascun vermouth rosso di Torino è già di suo, un piccolo capolavoro di bilanciamento di sapori, che in nessun modo deve essere eclissato dal distillato.
Sebbene i puristi preferiscono di gran lunga un Manhattan fatto con rye, va detto che la scelta del whiskey non deve essere un assunto dogmatico, o troppo semplicisticamente schematico. Le prime ricette riportavano un “plain whiskey” senza meglio specificare, quindi bourbon o rye può essere lasciato alla scelta di chi prepara il cocktail soprattutto in base a quella che è anche la scelta dell’etichetta di vermouth da abbinare.
Piuttosto che dovere scegliere tra mais o segale, ritengo più importante la scelta della gradazione del whiskey. A parere mio un rye a 100 proof è la scelta più indicata, ma è anche vero che un bourbon a 100 proof renderà il cocktail più forte e bilancerà meglio le note dolci rispetto ad un rye a 80.
Come spesso mi ha ripetuto un mio amico di Roma: “Angostura e Maraschino sono un po’ come sale e pepe a tavola”, meglio non farli mancare mai.
Ho fatto una ricerca storica e non poche prove sul Manhattan, i risultati ottenuti e soprattutto tutte le ricette più antiche di questo cocktail, mi portano a dire che ci vogliono due dashes di bitter aromatico per legare le note speziate del whiskey con quelle dolci, due dashes di maraschino per completare il corpo del cocktail e un dash di assenzio per richiamare la parte più botanica del vermouth.
Chi beve whiskey, e specialmente whiskey cocktail , sa quanto ci sta bene la scorzetta del limone in un cocktail dal sapore deciso e rotondo, ma un Manhattan non è tale senza l’iconica ciliegina.
La scelta della ciliegina dà luogo a molte scelte, una amarena dolce conservata nello sciroppo, piuttosto che una ciliegina sotto spirito, o magari ciliegie fresche denocciolate e conservate proprio in un barattolo pieno di Manhattan. Dipende da che profilo vogliamo dare al cocktail. Non mi sento di consigliare invece le ciliegine esageratamente rosse , non meglio identificate come ciliegie da cocktail, che hanno un sapore troppo chimico e non aggiungono nulla di buono al sapore finale del drink.
La Storia:
E’ difficile o almeno molto improbabile che una ricetta nasca all’improvviso.
E non dico nulla di nuovo se sfato il mito della cena organizzata dalla Signora Churchill presso il Manhattan Club in onore del governatore J. Tilden, Woondrich nel capitolo 8 di “Imbibe” ne dà anche riferimento temporale e spiegazione.
Prima di fare una rassegna delle date della età d’oro in cui troviamo le prime pubblicazioni della ricetta e della sua paternità, vale la pena notare che c’erano due ricette in particolare che di sicuro aprirono la strada verso il Manhattan.
I bartender di fine ‘800 conoscevano bene come preparare il “cocktail” e con quali ingredienti. Da un lato c’era il vermouth cocktail, con il suo sapore persistente che riempiva il palato, ma forse un po leggero che quasi “non era più pesante del bicchiere di sherry che beve una vecchia zia”. Dall’altro lato c’era il whiskey cocktail , con il suo sapore rotondo e a tratti pungente che aveva un impatto forte al palato, forse anche troppo forte.
Se tanto mi dà tanto voglio ipotizzare che ci sarà stato di sicuro qualche barman che abbia mescolato – secondo la tipica formula del cocktail – in parti uguali whiskey e vermouth e abbia aggiunto zucchero un liquore dolce e bitters.
La storia della paternità della ricetta resta avvolta da un alone di mistero, nel 1922 W.F. Mulhall bartender dell’Hoffman House di NY, riportò che negli anni ’60 del 19° secolo c’era un barman di nome “Black” che lavorava a sud di Broadway che aveva inventato il Manhattan (Valentine’s Manual of New York). Purtoppo non ci sono molte tracce storiche a sostegno di questa storia.
Questo cocktail deve la sua popolarità (ma forse anche la sua creazione) al Manhattan Club di New York. Nel 1889 un barman di Boston in una intervista afferma che il cocktail ebbe origine presso il Manhattan Club. Anche il New York Sun afferma la stessa cosa in un articolo del 1893 dedicato al Club della Grande Mela.
Il New York Times conferma la teoria in un articolo del 1902.
Ma la conferma che meglio può dar peso a questa tesi, la dà la storia del Manhattan Club stesso, il locale aprì nel 1865 e gli archivi dicono che il cocktail fu “inaugurato” lì.
Il primo riferimento scritto a questa ricetta lo torviamo in un articolo del settembre 1882 del Olean New York Sunday Morning Herald: “… è stato poco tempo fa che una miscela di whiskey , vermouth e bitters è diventata alla moda…”
Nel 1884 il cocktail era già presente in tuttii ricettari e manuali dell’epoca.
Nel libro ” how to mix drinks: bar keeper’s handbook”, la ricetta riporta parti uguali di whiskey e vermouth, 1/2 tsp di sciroppo di zucchero e tre dashes di peruvian bitters, ma le cronache del Manhattan Club spiegavano che il bitters usato era un orange bitters.
Nel 1887 Jerry Thomas riporta nel suo manuale una versione che aveva più vermouth che whiskey e maraschino, boker’s bitters e magari qualche dash di gum syrup.
Lo sciroppo di zucchero o di gomma arabica veniva sempre menzionato nelle ricette più vecchie, abbiamo visto quella del Professore, e anche Johnson scrisse una ricetta del Manhattan con 2 dashes di gum nel suo manuale.
Lo standard della ricetta era quello di aggiungere gum, maraschino e anche assenzio al whiskey e al vermouth ed era senza decorazione, così come riporta anche Schimdt nel “The flowing bowl” del 1891.
La prima ricetta di un Dry Manhattan (con vermouth dry al posto del rosso più dolce) fu pubblicata nel 1891 nel “Modern Bartender’s Guide” di Byron.
Il Manuale del Savoy riporta addirittura quattro versioni del drink: le due già citate qui sopra (entrambe rigorosamente shakerate), una definita “sweet“, cioè solo rye e vermouth in parti uguali e poi la versione dry.
E’ da notare che la versione dry del Savoy è quella che nello slang da mixologist viene definita “Perfect”, ovvero con parti uguali di vermouth francese e vermouth dolce.
Nel 1948 Embury nel suo manuale “The fine art of mixing drinks”, mette il Manhattan tra i 6 cocktail fondamentali, insieme al Daiquiri, al Jack Rose, al Martini, all’ Old Fashioned e al Sidecar.
Con il tempo la ricetta si è affinata, e non poco, ha perso la parte di sciroppo che la rendeva troppo dolce. Il dash di assenzio, omesso dalla ricetta ufficiale, è diventato un tocco da barman esperto per rafforzare il sapore del vermouth. Anche i dashes di maraschino delle prime versioni si sono poi trasformati nella ciliegina messa a decorazione.
A differenza delle versioni più vecchie, la ricetta canonica è un po’ troppo austera, e limita di molto la realizzazione di un drink che ha bisogno di esprimere al massimo la sua complessità di sapore con quei piccoli accorgimenti che fanno la differenza nel cocktail.
Il Manhattan al cinema:
Questo drink che veniva servito nei club esclusivi di New York, non ci mise molto ad essere riconosciuto come un cocktail sofisticato e raffinato. Hollywood dedicò al cocktail una pellicola del 1928 proprio mentre il cinema iniziava ad acquisire il sonoro.
Scorzese ha menzionato il cocktail ne ” Il colore dei soldi”, ma la mia scena preferita resta quella di Marilyn Monroe che prepara un Manhattan in una borsa per l’acqua calda nel film B. Wilder ” A qualcuno piace caldo”.
si ringrazia Sara Genovese @fuocoescintille per la foto del Manhattan.