Bicchiere : Coppetta da Cocktail
Metodo : Stir & Strain
Decorazione : Zest di limone
Ingredienti :
- 60 ml di Vermouth Dolce
- 5 ml di Sciroppo di Zucchero (opzionale)
- 2 dashes di Maraschino
- 2 dashes di Bogart’s bitter
Preparazione :
Prendere la bottiglia dal frigo e versare elegantemente il vermouth in un mixing glass. Spruzzare due dashes di maraschino e due dashes di bitters sul vermouth. Se si preferisce un drink più rotondo, aggiungere 5 ml di sciroppo di zucchero utilizzando un barspoon come misura.
Aggiungere un cubo di ghiaccio cristallino abbastanza grande e mescolare con il barspoon per 18-20 secondi per raffreddare bene il cocktail e raggiungere la parte di diluizione desiderata.
Usare uno strainer per trattenere il ghiaccio e filtrare il cocktail in una coppetta precedentemente congelata.
Esprimere gli oli essenziali di una scorzetta di limone sulla superficie e decorare. A discapito forse della componente visiva, potrebbe essere una buona idea esprimere gli oli della scorzetta nel bicchiere vuoto e adagiare lo zest di limone sul fondo del bicchiere, per dare al cocktail una corposa componente citrica.
Note sugli ingredienti :
Questo classico della miscelazione è un vero e proprio template su cui lavorare per capire al meglio il sapore dei prodotti e come lavorano insieme.
Il Cocktail risulta gentile e moderatamente alcolico, complesso e strutturato nel sapore amaro-dolce. La composizione del vermouth in quanto ingrediente principale, delinea il profilo speziato dell’intero cocktail e porta nel drink acidità data dal vino, un buquet aromatico e una persistenza amaricante grazie alle botaniche utilizzate.
Stabilito che per la preparzione di questo cocktail vanno presi in considerazione solo Vermouth di ottima qualità, una buona chiave di lettura di questa ricetta sta nella semplicità di preparazione senza aggiungere nulla più del necessario.
Con piccoli accorgimenti, la formula del cocktail lavora bene con tutte le etichette. Chiaramente conoscere il prodotto aiuta a capire come adeguare la ricetta in modo taylor made a ciascuna bottiglia, per esempio cercando di esaltare le note di vaniglia e spezie o magari la parte agrumata. Oppure come scegliere un bitters diverso a seconda del vermouth per fare da sponda a profumi di frutta secca, fave di cacao e spezie orientali, mentre invece un vino aromatizzato più amaricato non avrà bisogno di troppo bitters aggiunto per amplificare le note amare perchè si rischierebbe di dare al cocktail un sapore troppo medicinale.
Forse ormai è quasi un imperativo categorico che conoscono tutti, ma è sempre bene ricordare che il vermouth aperto va conservato in frigo. Oltretutto un vermouth freddo ci permetterà di lavorare meglio con il ghiaccio senza temere una eccessiva diluizione.
Per questa pubblicazione abbiamo scelto una piccola coppetta da cocktail Art Déco, ma va da sè che è più che buono l’utilizzo di una coppetta Nick & Nora.
La Storia :
Dalla seconda metà dell’Ottocento, come anche oggi, il Vermouth ha rappresentato un ingrediente indispensabile per la realizzazione dei grandi classici della miscelazione, dal Martinez al Manhattan per esempio. Sebbene in diversi cocktail la misura in cui veniva utilizzato il prodotto fosse decisamente importante, arrivando a misurare la metà del bilanciamento finale del drink, il vermouth raramente è stato considerato qualcosa di diverso da un modificatore di gusto. Ovviamente non è questo il caso del Vermouth Cocktail.
In IMBIBE Wondrinch racconta molto semplicemente che una volta conosciuto il Vermouth, era inevitbile che qualcuno avesse dovuto provarlo nella formula del cocktail, ed infatti se ne trova una prima traccia in un ricettario del 1869, The Steward and Barkeeper’s Manual.
Uno dei testi più attuali che con molta cura e attenzione racconta le ricette del passato è “I grandi cocktail del Jerry Thomas Project”, il manuale riporta la connotazione storica, e i twist del famoso locale di Roma, oltre alla versione più classica della ricetta.
Il Vermouth italiano fu importato negli Stati Uniti nel primo trentennio del Diciannovesimo Secolo, questo “liquore di macchia mediterranea” fu di grande stimolo per i saloon keepers d’oltreoceano guidati dal trend dell’unione di Spirits, Bitters, zucchero e acqua.
Il cocktail al vermouth era spesso raccomandato come cura per l’hang over, ma a dire il vero, molti lo apprezzavano specialmente per il caratteristico tono ricco in sapore ma solo moderatamente alcolico.
La prima ricetta del 1869 era decisamente troppo semplice, la struttura del vermouth incorporava “magicamente” la parte alcolica, aroma di vino, le note dolci e le note speziate e bitter tipiche della formula del cocktail, ma necessitava di corpo per rispecchiare a pieno le più canoniche caratteristiche del cocktail.
La versione più equilibrata e completa della ricetta arrivò con Harry Johnson nel libro del 1882 “New and improved bartender’s manual”, dove fanno la loro comparsa maraschino, sciroppo di zucchero e bitters a completare il sapore del vermouth.
Il vermouth francese è arrivato sulla scena americana in un secondo momento rispetto a quello italiano più dolce, ed infatti la prima ricetta di vermouth cocktail con un dry francese è apparsa solo nel 1884 sul manuale di O. H. Byron “The Modern Bartender”. Il testo riportava due versioni della ricetta, la prima più asciutta, a base di vermouth secco francese, servita in un calice piccolo, l’altra più dolce e rotonda a base di vermouth non meglio specificato e dunque italiano dolce, servita in una coppetta da cocktail. Un Pony misura scarsi 30 ml, all’epoca stava ad indicare la misura di un piccolo calice usato per servire liquori e cordiali.
Nell’edizione del 1887 del Manuale del vero gaudente il Professore Jerry Thoms ha aggiunto la ricetta del vermouth cocktail adattando alcuni punti della ricetta di Johnson con due gocce di bitters (molto probabilmente Bogart’s), un quarto di buccia di limone e 60 ml di Vermouth, prevedendo l’aggiunta di maraschino o di sciroppo solo per chi lo preferiva più morbido e sostituendo al ghiaccio rotto un cubo intero.
Da notare che la ricetta di Thomas vuole questo cocktail agitato nello shaker, con buona probabilità l’idea di non stirrare il vermouth dipendeva molto da quanto fosse importante avere un cocktail freddo piuttosto che concentrato e ricco nel sapore.
Secondo Wondrich, nel 1902 la ricetta viene riportata in un manuale di Cuyler Reynolds, The Banquet Book. Al volegere del secolo e forse fino agli anni del Proibizionismo, questo drink vantava ancora un ricco numero di affezionati della ricetta, che lentamente si affievoliva poichè il tenore alcolico del cocktail era troppo delicato e lasciava immaginare una aggiunta di alcol in esso.
Senza dubbio l’idea di perfezionare il tenore alcolico della ricetta del vermouth cocktail ha aperto la strada a drink quali il Manhattan ed affini.
L’interpretazione del “Banquet Book”, lasciava molto spazio alle preferenze dei bevitori sia nella scelta del bitters come nella scelta del tipo di Vermouth. Effettivamente queste licenze nella ricetta sono riportate in quello che è considerato il ricettario italiano per eccellenza. Nel 1936 Elvezio Grassi riporta tre versioni del Vermouth cocktail, due delle quali molto più ricche negli ingredienti e solo una indicata come “serie Bréhmer”, che ha i tratti della versione più classica del Vermouth Cocktail.
Harry Craddock nel suo Savoy Cocktail Book ha inserito una versione molto snella e flessibile del cocktail, lasciando libera la scelta dell’ingrediente ma specificando la preparazione più elegante nel mixing glass.
Nei cocktail bar di oggi la scena sta cambiando ancora, ci troviamo in equilibrio tra attente ricerche storiche e sperimentazioni molto spinte verso nuovi sapori, ma il Vermouth Cocktail trova ancora posto sui banconi e nei bicchieri di chi preferisce low alcohol drinks per l’aperitivo, soprattutto nei contesti in cui la vasta scelta di etichette di vermouth imbarazza i bevitori.